Il tennis di Piazza Venezia compie ottant'anni
Il tennis di Piazza Venezia compie ottant’anni. Tanti ne sono passati da quando nel settembre del 1940 vennero finalmente aperti al pubblico i due campi in terra rossa realizzati all’interno della vecchia piazza d’armi, oggetto di un progetto di riqualificazione dell’area e di risanamento sociale ed estetico che aveva portato alla nascita di piazza Littorio e di una nuova polarità urbana. L’orrenda pietraia, come l’avevano definita in molti, pomposo teatro delle parate militari, delle truppe austriache prima e di quelle italiane poi, rifioriva come un moderno e rigoglioso giardino.
Dopo la Grande Guerra si era trasformata gradualmente in una piazza civile, ed era abituata a ospitare eventi di ogni genere: dalle attrazioni del luna park, alle seguitissime gare ciclistiche, sino alle prime sfide pallonare. Poco adatta in realtà alle manifestazioni sportive: mancavano gli spogliatoi, il fondo era irregolare e sassoso, non bastasse bisognava allestire dal nulla corsie e tribune in occasione delle gare. Che richiedevano un inevitabile e sostanzioso tributo economico.
La realizzazione del Campo Sportivo Comunale Briamasco nel 1922, poi ribattezzato Campo Sportivo del Littorio, aveva riempito un vuoto e rappresentato un ideale sfogo per le principali attività sportive. Nel 1926, all’interno dell’impianto, era stato costruito anche il primo campo da tennis cittadino, che tuttavia faticava ad accontentare la crescente richiesta degli appassionati. Si pensò quindi di recuperare lo spazio della vecchia piazza e all’inizio del 1930 fu presentato al Potestà Scotoni un progetto realizzato dall’architetto Pio Giovannini, e sotto firmato dal presidente della società Unione Ginnastica Brasavola Da Massa, per la costruzione di due rettangoli da gioco per il tennis. Bisognò attendere il 16 gennaio 1931 per l’assenso del Comune, una soddisfazione effimera per i dirigenti della società biancazzurra del leone rampante, che non avranno nemmeno la consolazione di veder partire i lavori. Il 22 settembre dello stesso anno, scivolerà sotto malinconico silenzio la notizia dello scioglimento ufficiale della società che per oltre 60 anni aveva costituito un pilastro dell’attività sportiva trentina. “Per inattività”, la voce ufficiosa, ma si sospettava che fossero stati gli ostacoli burocratici a spegnere il sodalizio più che lo scarso dinamismo dei dirigenti.
La mancanza di disponibilità economiche costrinse le autorità a procrastinare continuamente l’avvio dell'opera. Solo il 16 marzo 1939 giunse l’approvazione definitiva del progetto, mentre il 21 giugno del 1940 vennero finalmente stanziati i fondi necessari per la realizzazione della struttura e rilasciata all’onorevole Mendini la sospirata licenza per l'inizio dei lavori. Solo qualche giorno prima, dal balcone di un’altra piazza Venezia, il duce, mascella protesa in avanti e mani sul cinturone aveva pronunciato il suo famoso discorso. L’inizio della tragedia. Una settimana più tardi Hitler si aggirerà da sinistro padrone tra le vie di una Parigi occupata con irrisoria facilità dalle sue truppe, sostando a lungo deferente e assorto davanti alla tomba dell’imperatore Napoleone Bonaparte agli Invalides. Mussolini era entrato in guerra nella speranza di ottenere, proprio grazie al Fuhrer qualche briciola meridionale del suo impero. Un anno più tardi comincerà a condividerne il tragico destino, sconfitto dal grande inverno russo.
Nel disegno, opera dell’ingegnere Efrem Ferrari, che si era avvalso pure della collaborazione di Michelangelo Perghem, già nazionale di atletica e tennista di ottimo livello, era previsto uno stabile per i servizi, composto da una sala soggiorno per le premiazioni dei tornei, uno spogliatoio maschile e uno femminile, entrambi dotati di due docce e gabinetti, quindi un bar e locali di servizio. I lavori però procedono a rilento, a luglio lo stesso Mendini scrive preoccupato una lettera sollecitando un maggiore impegno. L’amministrazione fa sapere di aver dovuto rimpiazzare l’operaio specializzato, che appena giunto a Trento da Torino era stato subito richiamato alle armi. Non è semplice in questo momento trovare manodopera sufficientemente preparata.
L’apertura al pubblico è annunciata sui giornali per l’11 settembre. Il giornalista sportivo Umberto Grillo ne dà notizia qualche giorno prima sul Gazzettino: “L’azienda autonoma del turismo ha condotto a termine la costruzione di due campi da tennis in piazza Venezia con un elegante e moderno padiglione per i servizi.” Un’ora di singolo costa 5 lire, 7 in caso di doppio con lo sconto di una lira per i soci. A raccogliere le prenotazioni è Eugenio Gottardini, maestro di tennis federale, titolare del negozio Eros al quale viene pure affidata la direzione tecnica del circolo. Durante l’estate si era parlato poco di tennis, solo il ciclismo aveva catturato le attenzioni degli sportivi. A fine agosto gli appassionati della racchetta tuttavia possono seguire sulle colonne del Gazzettino l’impresa sfiorata da Comperini che nel torneo internazionale di Viareggio, raggiunge le semifinali strappando un set a Vanni Caneppele. In prima pagina campeggia la foto di Ottone Cestari, vincitore a Milano dei campionati italiani di atletica leggera della GIL, la Gioventù Italiana del Littorio, un alloro paragonabile di fatto a un titolo nazionale juniores. Ci mette lo zampino pure la pioggia che costringe l’azienda a posticipare di una decina di giorni l’apertura dei campi. Il battesimo « ufficioso » avviene domenica 22 settembre, a saggiare per primi i campi in terra rossa sono i giovani protagonisti della fase eliminatoria della Coppa Lambertenghi. Vince Ezio Bonetti che supera in finale Marcello Taddei, futuro presidente del Circolo nei gloriosi anni Settanta. Bonetti sciorina con una certa disinvoltura i suoi colpi, ma sbaglia più del solito, quasi infastidito dalla ostinata resistenza del suo avversario. Taddei ha una tecnica è forse un po’ grezza, ma è un caparbio palleggiatore, non molla una palla e la partita si rivela più equilibrata del previsto. Come la maggior parte dei ragazzi il futuro avvocato aveva iniziato a giocare su campi improvvisati, ritagliati tra i boschi di Fai, alle pendici della Paganella dove la famiglia trascorreva le vacanze estive. « Si giocava sugli orli dei prati – ricorda - piantavamo due paletti e tiravamo un filo da un capo all’altro. L’unico vero problema era ritrovare la pallina quando finiva in mezzo all’erba o giù per qualche dirupo. » I primi rudimenti si imparavano in maniera spontanea, istintiva. Non c'erano allora maestri. « Noi eravamo tutti degli autodidatti – ricorda Taddei – avevamo una tecnica approssimativa, nessuno aveva mai preso una lezione di tennis. » E soprattutto si cominciava a giocare tardi, in particolare le ragazze, mai prima dei diciotto e diciannove anni. I più servivano da sotto, tagliato, e l’arma più usata era il pallonetto. L’unico a dispensare consigli era il conte Sizzo, sempre paziente e autorevole.
L’inaugurazione ufficiale del circolo avviene sabato 28, per l’occasione si sfidano una rappresentativa di Trento e una di Riva. Si parte alle 14, in programma ci sono cinque singolari e due incontri di doppio maschili. I rivani si rivelano ospiti accomodanti e concedono ai trentini, che schierano Caliari, Moizio, Girelli, Briani e Zanolli, una vittoriosa passerella sui nuovi campi. In tanti varcano il cancello e si accomodano sui gradoni per scrutare con curiosità le evoluzioni dei tennisti. Sono più del previsto, qualcuno si deve accontentare di restare in piedi. Spettatori dall’aria disincantata e insieme distaccata, sorridono e applaudono. Sul giornale si invita caldamente il comune a sistemare una fila di panchine. «Una vera folla di sportivi e appassionati – scrive il Gazzettino – ha seguito l’amichevole in piazza Venezia che è coincisa con una promettente ripresa dell’attività tennistica nei moderni e signorili rettangoli di gioco.» Domenica 29 si giocano anche le fasi finali della Coppa Lambertenghi, il rivano Bernardinelli supera il trentino Bonetti e il roveretano Robol e si guadagna così il diritto di sfidare il roveretano Anselmo Godio, tesserato per il Tc Merano, ammesso d’autorità alla finale. Per la domenica successiva, il 6 ottobre, viene fissato un confronto amichevole con Bolzano. La pioggia battente, che saluta l’incontro al Brennero tra il Duce e il Fuhrer, non consente però alle squadre di scendere in campo. Si fissa un nuovo appuntamento per domenica 13 ottobre, la giornata è baciata da un magnifico sole, sulla terra rossa di piazza Venezia si presenta una rappresentativa di Rovereto guidata da Godio e Supith, i due hanno la meglio in singolare con Moizio e Caliari, ma l’assenza di alcuni dei migliori tennisti della città della quercia favorisce il successo di misura, 4-3 dei padroni di casa. Da lunedì si aprono le iscrizioni al torneo Città di Trento, a raccoglierle è il camerata Eugenio Corradini, presso l’Azienda del turismo in piazza Vittorio Emanuele III, l’odierna piazza Duomo. L’autunno del ’40 è mite, la temperatura insolitamente dolce. Sembra un invito a distrarsi dalle fosche notizie della guerra. Si riuscirà a giocare sino a novembre inoltrato. Negli Stati Uniti esce «Il Grande Dittatore» di Chaplin, che in Trentino arriverà solo nel ’44, mentre l’ambasciatore Emanuele Grazzi consegna con sole tre ore di preavviso al capo del governo ellenico Metaxas un ultimatum. Deve consentire alla nostre truppe di occupare nel Mediterraneo alcuni territori ritenuti di importanza strategica.
Domenica 20 ottobre si gioca una nuova amichevole: i trentini ospitano la formazione di Bolzano e vincono ancora per 4-2. Caliari è in gran forma, batte Moizio e si aggiudica la prima estemporanea edizione del «Città di Trento», trasformato di fatto in un torneo sociale che vede sfidarsi sui nuovi campi una quindicina di giocatori. Gli stessi che frequentano assiduamente il circolo. E’ l’ultimo atto di una lunga stagione percorsa da fremiti violenti. Sull’Europa spirano sempre più nervosi i venti di guerra.
Si torna a calcare la terra rossa di piazza Venezia, risistemata per la nuova stagione, nell’aprile del 1941. Le iscrizioni sono aperte a tutti, a condizione che il nuovo socio, si legge nel regolamento, si faccia presentare da un altro socio già tesserato. Mentre sui giornali si celebra l’eroica resistenza delle truppe italiane in Abissinia, domenica 4 maggio il Ct Trento debutta con due squadre nella Coppa del Decennale, vero e proprio campionato regionale. Il girone comprende in tutto sei formazioni, ben quattro di Merano. Il Trento A di Calliari, Moizio, Dolfin e Girelli chiude al terzo posto. A settembre in piazza Venezia si svolge il torneo sociale che richiama 15 iscritti, Caliari si conferma il più forte, battendo in finale il giovane studente universitario Giulio Briani, già membro del comitato provinciale del Guf. Un infortunio blocca uno dei favoriti, Moizio, sconfitto da Umberto Girelli, il titolare di Villa Alessandra, che con la sua palla soporifera, ma precisa miete vittime, compreso il giovane Marcello Taddei. “Girelli sei una malva!”, gli grida indispettito dall’altra parte della rete Moizio, evidenziando le sue origini fiorentine. Malva in toscano sta a indicare una persona scaltra che sa tenere nascosti i suoi veri obiettivi. E anche Girelli sapeva tenere nascosta sino all’ultimo la sua temibile palla corta.
L’attività del Circolo Tennis Trento riprende nella fredda primavera del 1942, la stagione si apre con una amichevole in piazza Venezia contro una rappresentativa di Bolzano, in preparazione alla Coppa del Decennale. Gli animi sono inquieti e sembrano quasi volersi ribellare alla guerra incombente. La sfida nel torneo regionale è sempre con Merano, i trentini danno battaglia ma cedono nettamente 5-1 proprio il confronto d’apertura giocato in Alto Adige, Caliari perde al terzo con Cimadon mentre Moizio e Briani strappano il punto della bandiera in doppio. Trascinato da Briani e Gattamorta, futuro presidente del Circolo nel dopoguerra, il Ct Trento batte Bolzano in casa e fuori, ma Merano resta inavvicinabile e domina comodamente il girone. Alla ricerca di nuovi soci viene ritoccato il prezzo della tessera, scesa da 25 a 20 lire, mentre l’ora campo costa “solo” 2 lire. Il clima di angosciosa attesa degli eventi bellici non invoglia però a cimentarsi con palle e racchette. Domenica 12 luglio sui rettangoli di piazza Venezia si affrontano in amichevole Trento e Riva, tra i gardesani ci sono il tenente degli alpini Casetti, rimessosi dalla grave ferita rimediata combattendo sul fronte greco, il tenente Oradini e il sottotenente Dal Lago, in licenza e reduci invece dal Montenegro. Si gioca in clima di coinvolgente partecipazione. Trento prevale 5-1, ma Casetti dimostra di aver recuperato in fretta la giusta condizione atletica e tecnica rifilando un doppio 6-0 a un Caliari particolarmente distratto e falloso. La sfida è diretta dal commendatore avvocato Ernesto Vinante che tra un incontro e l’altro fa osservare un minuto di silenzio per onorare l’annuale ricorrenza del sacrificio di Cesare Battisti e Fabio Filzi. Sette giorni più tardi, quando Ottone Cestari ritoccherà il primato regionale sui 1500, il Ct Trento restituisce la visita scendendo in riva al lago di Garda. L’estate scivola via con pochi tornei e scarso interesse, la selezione bolzanina del Guf conquista il secondo posto ai triveneti maschili di Udine, con Giannelli, Ben, Cimadon e Gnecchi.
Mentre a Stalingrado infuria la battaglia che deciderà le sorti del conflitto, a settembre in piazza Venezia e a Villa Alessandra ritorna dopo qualche anno di assenza un torneo nazionale riservato ai seconda e terza categoria. Complice la rinuncia di Rovereto. Gigliolo Erspamer è il giudice arbitro, dirigono Giulio Dolfin e Umberto Girelli. Il torneo è avversato dalla pioggia, alla fine prevale il fiorentino Leali che impone la sua regolarità e un bel tocco di palla al genovese Franco Zampori che dieci anni dopo vincerà il titolo italiano a squadre con l’Ambrosiano Milano insieme a Gianni Cucelli e Fausto Gardini. Nei quarti Zampori batte Comperini che dovrà cedere anche la finale di doppio disputata al fianco del padovano Storti contro Alberton e un giovane promettente, Renato Gori. In tono minore il femminile dominato dallo stile pregevole e redditizio della veneziana Decarli.
E’ il 1943 e la guerra sta per travolgere e stravolgere tutto. Il clima in città è silenzioso e opprimente, molti indossano la divisa come quelli che in un maggio freddo e piovoso affrontano sulla terra rossa di piazza Venezia in alcuni confronti amichevoli il manipolo di giocatori del Ct Trento. Sono ufficiali e soldati di stanza a Trento, appartengono per lo più al settimo auto raggruppamento. Spiccano due ottimi seconda categoria, il tenente milanese Mancini e il triestino Sader, che batte Calliari in tre set. Dolfin e Taddei vincono singolo e doppio durante la prima delle due sfide, ma a imporsi sono i militari. Anche il tennis prova a ribellarsi alla paura, alla miseria e alla fame. Ma sulle pagine dei quotidiani lo sport riesce a ritagliarsi sempre meno spazio. Fanno parlare di sé le ragazze del basket della Rari Nantes che ottengono successi a ripetizione nel campionato nazionale di serie B. “Dobbiamo vincere e vinceremo” titola il quotidiano fascista “Il Brennero” giovedì 10 giugno, una triste illusione spazzata via nei mesi successivi da un traumatica guerra civile, feroce e crudele. Ben più di una partita di tennis. Incosciente della realtà il presidente del Coni squadrista Gian Giacomo Colombo continua a parlare di potenziamento dell’attività sportiva. D’altra parte lo sport, almeno nella concezione fascista, non rappresenta certo un’occasione di svago bensì di preparazione fisica e militare della gioventù. Parole al vento. Dall’estate del ’43 sino alla tarda primavera del ’45 Trento vivrà nell’angoscia, tra il lugubre e tetro latrato delle sirene, i boati assordanti delle bombe, gli oscuramenti. Il pomeriggio di mercoledì 1 settembre Marcello Taddei scende in campo per l’abituale sfida con il tenente milanese Mancini. L’aria è calda e avvolgente, l’estate sembra allungarsi pigramente sotto un solo abbacinante. I due si danno appuntamento per il venerdì successivo. Alla stessa ora, le tre del pomeriggio. Invece si ritroveranno su un campo da tennis, quasi per caso, soltanto trentacinque anni dopo. In vacanza sull’isola d’Elba. Giovedì 2 settembre 1943, a mezzogiorno la città sarà sconvolta dal primo terribile bombardamento che farà strage di civili nel popolare quartiere della Portela. La gente attraverserà i campi di piazza Venezia di corsa, ma non certo per rincorrere palline. Cercherà rifugio e conforto nelle fredde e umide gallerie scavate durante l’estate nella roccia. Ripari di fortuna, costruiti da quel Arcangelo Zanin cui si deve il glorioso campo di Villa Alessandra. Il secondo bombardamento, il 13 maggio 1944, colpirà a tappeto tutti i quartieri della città e non risparmierà il circolo. Durante il periodo bellico i campi, invasi dai ciuffi d’erba e dalle sterpaglie, saranno utilizzati dal Comune come mercato, mentre la palazzina verrà adibita a dispensario per lattanti. Di tennis si potrà tornare a parlare solo dalla primavera del 1946.