Giuliano Maistri: il tennis come elisir di lunga vita
Cinquant’anni fa Giuliano Maistri vinceva sulla terra rossa di piazza Venezia il suo terzo Città di Trento. Legando così in maniera indissolubile il suo nome al torneo più prestigioso e più ricco di tradizione tra quelli che si giocavano allora in provincia. Un’icona che ha attraversato la scena regionale per un ventennio almeno da assoluto protagonista. Al tennis era arrivato tardi per illudersi di varcare certi confini, ma il segno lasciato nella storia cittadina di questo sport è stato lungo e profondo. Ha trasmesso la passione a quattro dei cinque figli, diventati a loro volta buoni giocatori, ed è stato fonte di ispirazione per la promettente nipote Deborah, 23enne figlia di Sandra e Alberto Chiesa, già numero 143 al mondo. Il tennis è stato il suo elisir di lunga vita, Giuliano Maistri sfoggia oggi le sue novanta primavere, che festeggerà tra qualche mese, con la solita disincantata naturalezza, il portamento elegante di sempre, anche in momenti così difficili e infidi. L’emergenza gli ha sottratto qualcuna delle vecchie abitudini, il giornale all’edicola, lo sguardo divertito e complice sui campi da tennis a seguire tornei e campionati, ma la sua carica vitale è rimasta immutata. Fino a qualche anno fa era ancora in campo per il solito immancabile doppio all’Ata. Il fisico, coltivato con intelligenza e disciplina, gli ha regalato tante soddisfazioni anche in tempi più recenti, compresi quattro titoli mondiali tra i veterani.
TORTA - Fu Giorgio Torta a convincerlo a provare seriamente con il tennis. Veneziano, titolare della Casa del Caffè di via S. Pietro, rilevata alla fine degli anni Cinquanta, appassionatissimo, appena arrivato a Trento Torta cerca subito l’indirizzo dei campi e si presenta in piazza Venezia. “Se avete bisogno di una mano, io sono disponibile”. E’ un buon giocatore, ma soprattutto un ottimo dirigente. Lo nominano subito segretario, ruolo a cui si dedicherà con un impegno meticoloso e costante. Si occupa di tutto, i soci lamentano le ore che ruba per i tornei, ma Torta restituisce un’immagine nuova al Tennis Trento, ne riassesta il bilancio e lo trasforma in qualcosa di molto simile a un circolo. Ha l’occhio lungo, è lui ad avvicinare al tennis tanti futuri bravi giocatori. Primo tra tutti proprio Giuliano Maistri. Tutto comincia su un campo da calcio, durante una partita tra scapoli e ammogliati. I due si ritrovano compagni di squadra nelle file dei maritati, Maistri può vantare il suo trascorso da terzino del Trento, Torta qualche esperienza nelle giovanili del Venezia, trascinano alla vittoria gli ammogliati e diventano amici. Torta lo porta in piazza Venezia si mette pazientemente in campo a dargli i primi rudimenti tecnici. Maistri fa il medico al Santa Chiara, e arriva al circolo con una Lambretta carenata 150cc., quando impugna per la prima volta una racchetta ha ventisette anni, ma il fisico e lo spirito sono ancora quelli di un atleta vero. Impara in fretta, anche se trovare spazio non è un’impresa semplice. “Per avere un campo libero capitava di giocare alle sei e mezza di mattina, prima di iniziare a lavorare.”, racconta con l’aria divertita. Il braccio c’è, il colpo d’occhio pure. “Il tamburello mi ha dato la predisposizione a giocare in avanti, di anticipo. All’inizio stavo un metro abbondante dentro il campo, poi ho trovato la distanza giusta.”
TAMBURELLO - Giuliano aveva cominciato a giocare a tamburello nel suo paese natale, Aldeno, al termine della seconda guerra mondiale. Ad Aldeno allora di squadre ce ne sono due, quella dell’Excelsior, dove gioca Maistri, la chiamano anche la squadra dei preti perché è di forte orientamento democristiano, e l’Altinum, che ha le maglie biancorosse ed è sostenuta più o meno apertamente dai socialisti. Una rivalità alla “Peppone e Don Camillo” di guareschiana memoria in chiave tamburellistica. Che durerà sino al 1966 quando le sue società si fonderanno. Giuliano ha appena vinto con l’Excelsior il campionato provinciale del 1949, quando viene avvicinato dal solito benestante di Aldeno che gli dice: “Senti Maistri, che ne diresti di venire a giocare per noi?” E per essere più convincente tira fuori dei bei bigliettoni. Accetta l’ingaggio, “Non era questione di essere venali - spiega - a quei tempi era molto difficile raggranellare qualche soldino, l’unica possibilità era andare a raccogliere uva.”. Il parroco indignato gli scrive una lettera dai toni minacciosi e la domenica non risparmia una dura reprimenda al giocatore durante la tradizionale omelia. Ma Maistri è già diviso tra il tamburello e il calcio. “Avevo cominciato a giocare l’ultimo anno di guerra, con gente che era stata sfollata da Trento e da altre diverse città. Alcuni avevano un pallone e organizzarono qualche partitella. E’ stato lì che noi ragazzi abbiamo scoperto il calcio. Nessuno allora si muoveva per andare a Trento.”
CALCIO - Ci pensano i dirigenti di via Sanseverino a bussare alla sua porta. Con la maglia gialloblù disputerà quattro stagioni, dal 1952 al 1956, difensore. Alla guida della società c’è l’onorevole Helfer, ma sono anni grigi, avari di soddisfazioni. Il Trento dopo la riorganizzazione della serie C è stato relegato in quarta serie con Bolzano, Lancia e Rovereto. E’ il Trento di Italo Bortolotti, di Setti e Del Gizzo, non riuscirà mai a schiodarsi da un desolato anonimato. Il pallone in ogni caso è una breve parentesi, ci sono gli studi di medicina da completare. Gli unici che possono assicurargli un futuro più che dignitoso. Ma il tennis, iniziato con un misto di esitazione e scetticismo, si trasforma in un amore travolgente. “Mai preso una sola lezione in vita mia - confessa - ma ad Aldeno ci trovavamo spesso a giocare con delle rudimentali palette in legno”. Il suo è un tennis offensivo, tutto d’anticipo, che si basava sull’intuizione dei movimenti e l’attitudine ai colpi di contro balzo. L’apertura corta gli conse rapide discese a rete, dove gioca volée profonde e tagliate. Il suo gioco sa occupare lo spazio in maniera sorprendente e sembra avere più soluzioni di qualsiasi altro tennista.
TENNIS - Alla fine degli anni Sessanta è già una personalità di primo piano della scena regionale. Nella finale del ’65 del Città di Trento batterà in finale un promettente ragazzino rivano, Valerio Mosele. “Fulmineo colpo d’occhio, senso della posizione, baldanza atletica sono le doti che Maistri impone sul campo da gioco”, così sentenzia il decano dei giornalisti sportivi Umberto Grillo. Tre anni più tardi, dopo la finale persa con il bresciano Torriti, Maistri trionfa dominando la sfida con il bolzanino del Circolo Lancia di Torino Sergio Magnani, che nei quarti aveva sorpreso il grande favorito della vigilia, il baffuto milanese Franco Bonaiti, futuro direttore il Centro Tecnico del Foro Italico e allenatore di numerosi tennisti di livello internazionale, tra cui Silvia Farina. La sfida tra i due si ripeterà nell’edizione del 1970 che segna la definitiva consacrazione di Maistri ai vertici del tennis regionale, Magnani stavolta trascina al terzo il rivale, ma alla distanza cede di schianto. Maistri s'impone anche nel 1971, stroncando in meno di un’ora il torinese Giancarlo Anerdi, già nazionale juniores. Nel femminile s’impone la romana Silvana Belardinelli, è la nipote del grande Mario."La grande dote di Giuliano era la concentrazione, con quella sopperiva anche a certi limiti tecnici, in fondo era cresciuto da autodidatta - dirà di lui Gigi Pagnacco, ingegnere mestrino e suo compagno in tanti tornei veterani - Mi ha sempre impressionato il suo fisico eccezionale. Se volevi metterlo in difficoltà l’unica cosa era alzare dei pallonetti, aveva un solo punto debole: lo smash!”
SANTA ALLEANZA - Gioie e rimpianti. Il 1972 è l’anno della Facchinetti, la serie C, della santa alleanza tra Trento e Bolzano. “Non c’era ancora l’abitudine di andare a prendere i giocatori fuori regione, ma unendo le forze si poteva puntare in alto - rivela - Il patto nacque spontaneo, impiegammo poco a metterci d’accordo”. I migliori di Bolzano, Basso, Benini e Lucich, scendono in piazza Venezia e il Ct Trento arriva a un passo dallo scudetto. Cede solo al doppio di spareggio, giocato dal duo Benini-Lucich, nella finalissima con lo Stampa Sporting Torino. Resterà il rammarico “Con Basso in campo probabilmente avremmo vinto”, ammette con pudore. Basso e lui, i due più forti. Gli scudetti arriveranno qualche anno dopo, da veterano. Il tennis intanto ha perso per sempre la sua purezza, trascinato nella modernità da un nuovo profeta, il volto che sembra quello di Gesù, una massa di capelli biondi trattenuti dalla fascetta. Si chiama Bjorn Borg e indossa una maglietta che diventerà un’icona, fornita una piccola azienda di abbigliamento che rivoluzionerà a sua volta il tennis portando il colore lì dove una volta c’era solo il bianco.