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Deborah Chiesa si racconta: «Non ero sicura di tornare»

La voglia di tornare a fare ciò che si ama spesso e volentieri prevale sulla paura e lo sconforto di perdere tutto. Vale nello sport, ancor più nella vita di tutti i giorni in cui si comincia a dare peso a tutto ciò che prima appariva scontato. Lo sa bene Deborah Chiesa che a inizio anno ha ricevuto quella notizia che un’atleta non vorrebbe mai ricevere: una forma di artrite. Giunta peraltro dopo un lungo periodo d’assenza per il precedente infortunio al piede. La tennista trentina, capace di arrivare sino alla posizione numero 143 delle classifiche mondiali nel 2018, non riusciva nemmeno a tenere la racchetta in mano. A distanza di qualche mese, l’incubo si è trasformato in una consapevolezza con cui convivere, ma anche nel ritorno in campo: «Non ero sicura di poter tornare a giocare. Ho avuto paura, oggi ho un approccio diverso in tutto ciò che faccio. Il supporto della mia famiglia è stato fondamentale. Il passato? Sorrido senza rimpianti».

Deborah, innanzitutto come stai?
«In questo momento sto bene, mi sto allenando ad Anzio e sono in partenza per un torneo in Repubblica Ceca. Poi tra due settimane volerò al Cairo per giocare due eventi da 15mila dollari: sono crollata in classifica e con il ‘ranking protetto’ ora navigo attorno alla 400esima piazza. Sto ripartendo piano piano. L’importante è che la situazione dell’artrite sia sotto controllo, sto seguendo una terapia con un reumatologo e sta procedendo nel verso giusto».

Sei tornata a competere tra luglio e agosto, a circa 10 mesi dall’ultima volta. Che sensazioni hai provato?
«È stato bellissimo ricalcare i campi dei tornei, ero piuttosto emozionata. Tornare dopo tutto quello ho passato non è qualcosa di indifferente. A dirla tutta non ero nemmeno sicura di poterci riuscire. Ora ho un approccio diverso, sia in allenamento che in partita. Ma ho avuto paura perché con queste cose non sai mai cosa può accadere».

Cioè?
«Beh, inizialmente brancolavo nel buio perché non riuscivo a ricevere delle risposte chiare. Per fortuna ora mi affido a una persona che mi dà tranquillità. Queste sono malattie autoimmuni da tenere sempre sotto controllo. Allenarmi ora mi sembra bellissimo: prima davo delle cose per scontate che ora non lo sono più!».

Quali sono le priorità di Deborah Chiesa oggi?
«Ho ripreso a giocare solo a maggio. La priorità adesso è guarire e stare bene, giocando più partite possibile. Devo capire a livello fisico come si evolve la situazione. Vorrei giocare altri 6-7 tornei da qui a fine anno e mettere più partite nelle gambe in vista della prossima stagione».

Karin Knapp ti segue assieme ad Alessandro Piccari. Che ruolo ha avuto in questo periodo?
«Lei è sempre qui e ci sta vicino, ci segue e ha sicuramente tanta esperienza. Mi dà tutt’ora una mano, soprattutto perché mentalmente è stata una mazzata. Venivo dal problema al piede, a fine gennaio dovevo partire per fare dei tornei e poi è emerso il problema. Inizialmente non pensavo fosse una situazione grave. La mia famiglia mi ha dato tanto supporto. Inoltre mi affido a una persona che mi aiuta sotto il profilo mentale».

Su cosa si lavora dopo un problema del genere?
«Ci vuole tempo, sono stata ferma tanti mesi. Perciò stiamo dando una priorità alla parte atletica, ricreando quelle situazioni che poi mi possono servire in partita. A livello tecnico-tattico invece abbiamo ripreso ciò che ho sempre fatto: lavoriamo specialmente sul dritto, il servizio e la risposta».

Che cosa pensi quando ti ricordano quel 2018, tra la vittoria contro Arruabarrena in Fed Cup e quel match perso sul filo con Belinda Bencic (fresco oro olimpico a Tokyo)?
«È passato un po’ di tempo, sono cresciuta e maturata dopo gli infortuni. Guardo al passato con un sorriso, non con un rammarico. Se a quei livelli ci ho giocato, vuole dire che posso ritornarci. Nel 2019 ho vissuto quelle esperienze come un’occasione persa e tutto ciò mi ha buttato giù. Crescendo e facendomi aiutare, ho capito che le chance possono tornare».

Sulle tue colleghe e più in generale sul movimento femminile, che impressione hai?
«Ci sono tante ragazze giovani, oltre a Camila (Giorgi, ndr) che ha un tennis incredibile. Le carte ce le ha sempre avute per essere competitiva e ora si vede. Poi non dimentichiamoci di Martina Trevisan e Jasmine Paolini. Le conosco bene perché ci sono cresciuta. Ci vuole tempo per un ricambio generazionale, è un lavoro che necessita anni. Ma sono sicura che anche nel tennis femminile si vedranno più italiane in top-100 prossimamente».

Autore
Aliosha Bona

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