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Enrico Slomp, il tecnico giramondo ha ritrovato casa

Il tennis resta sempre al centro del suo mondo, anche se lui ha smesso di girarci intorno al mondo. Enrico Slomp continua ad impugnare la racchetta e a frequentare per diletto i campi in terra rossa, la classe, l’eleganza dei gesti, in fondo sono le stesse di sempre, anche se qualche capello è diventato più grigio e le partite si diradano nel tempo. Lo sguardo però è rimasto acuto, aperto, curioso e insieme indagatore, uno sguardo arricchito dall’esperienza che gli consente di osservare le vicende tennistiche con una competenza rara e una sensibilità profonda. Non so quanti alle nostre latitudini abbiano respirato l’aria del grande tennis e dei grandi palcoscenici quanto ha fatto lui. Wimbledon, il Roland Garros, gli Us Open, l’Australia, la Florida di Nick Bollettieri, non si è fatto mancare nulla.

TRA CAVALESE E RIVA - Da ragazzino aveva tirato i primi colpi a Cavalese, dove il padre lavorava, sotto l’occhio vigile e burbero di Alfredo Sartori, il papà di Massimo, coach di Seppi e grande amico di Enrico. Sartori senior saliva in val di Fiemme d’estate da Vicenza per svezzare più di un ragazzino e insegnare pazientemente il tennis ai villeggianti distratti, aveva un vocione inconfondibile, una presenza ingombrante, ma anche doti tecniche e umane non comuni. Un maestro in tutti i sensi. A quattordici anni la famiglia si trasferisce a Riva, e Slomp può entrare a far parte di quello straordinario gruppo di ragazzi cresciuto da Valerio Mosele e affinato poi agonisticamente da Jack Reader. L’istrione, l'ex promessa del tennis australiano, che si diletta a palleggiare con gli attempati turisti tedeschi che affollano il lago di Garda. Il presidente di allora, Paolo Perderzolli, lo aveva portato a Riva e il circolo aveva cambiato passo. “Era un tecnico innovativo - annota Slomp - fuori era un tipo stravagante e simpaticissimo, che sapeva farsi amare da tutti, in campo però si trasformava in un professionista serio, meticoloso. Curava molto la parte atletica, era il suo pallino.” Aveva capito con largo anticipo quale direzione avrebbe preso il tennis moderno. “Uscivamo tutti stremati dai suoi allenamenti, alla fine di ogni seduta ci faceva sempre fare il gioco delle trenta palle, da colpire tutte nel rettangolo del servizio, era un esercizio che ti prosciugava completamente. Il giorno dopo avevi le gambe talmente dure da non riuscire a camminare. Ma tempo un paio di settimane e in campo volavi.” Slomp, Daniele Remondini Andrea Pederzolli, Cristian Mazzardi, Francesca Cicciariello, Paola Bottesi, quindi i due Stoppini, Luca e Andrea, Eugenio Knerich, il Ct Riva sforna talenti a getto continuo. E pensa in grande, il 1988 è l’anno della serie A invernale, sulle sponde del Garda approdano Marco Filippeschi, toscano di Follonica, numero 221 al mondo, il romano Alessandro De Minicis, che tre anni prima era stato numero 135, e il bombardiere americano Cary Cohenour. “Un evento incredibile. Il livello era molto alto e per noi ragazzi fu un’occasione di confronto davvero stimolante, io giocai pure una partita contro Varese, perdendo da Simone Colombo, ex davisman azzurro. Filippeschi ci portò poi a disputare anche un Satellite in Bulgaria, un’altra bella esperienza”.

TECNICO IN FEDERAZIONE - Nei primi anni Novanta comincia a dare una mano a Graziano Risi, che dirige la scuola Tennis del Ct Rovereto. Dentro si accende una miccia, così non si lascia sfuggire l’opportunità di diplomarsi alla Scuola Nazionale Maestri. Non smette di giocare, nel 2000 vince il Città di Trento battendo in finale il brissinese Luca Pigaiani, ultimo trentino a scrivere il suo nome nell’albo d’oro del torneo, ma ormai la sua vita ha preso una direzione ben precisa. Come maestro è bravo e la Federazione lo coinvolge presto. “Dell’Edera (che oggi è direttore dell’Istituto Superiore di Formazione “Roberto Lombardi” n.d.r.) mi propose di accompagnarlo in Francia con alcuni ragazzi - racconta ancora Slomp - c’erano Fabbiano, Gaio e la Dentoni. Accettai. Li seguii poi anche a Kufstein, in Austria, ricordo che Fabbiano vinse il torneo e per premio ricevette un paio di sci, probabile che da buon pugliese la neve non l’avesse mai vista, così mi porse gli sci e disse, “maestro questi sono per te”. Tra gli sponsor c’era anche la Milka, che ci regalò dieci chili di cioccolata. Eravamo in otto, ma ci mettemmo un bel po’ a mangiarla tutta.” Diventa Capitano delle squadre giovanili azzurre, conquista un titolo europeo e uno iridato nel 2006 al Roland Garros, proprio con i ragazzi dell’under 14: Gaio, Miccini, Colella. Nell’estate del 2008 esce dalla FIT e si trasferisce sulle calde coste della Florida, a casa di Nick Bollettieri per seguire da vicino uno dei talenti più promettenti del panorama nazionale, il 15enne Giacomo Miccini, allora n. 19 delle classifiche mondiali di categoria. Da Bollettieri si lavora sodo, in campo si incrociano ragazzi tosti, tra questi c’è pure un giapponese in ascesa, Kei Nishikori, con cui Miccini gioca tre volte a settimana. “Un posto ideale per allenarsi, ma solo se sei un giocatore tecnicamente già formato”. L’inizio è carico di promesse, Miccini conquista il primo punto Atp e strappa qualche buon risultato anche negli Slam junior. Sogni, progetti e ambizioni però s’infrangono dopo nemmeno sei mesi, il giovane tennista marchigiano deve sottoporsi a un intervento all’anca, la sua carriera è già finta prima ancora di iniziare.

TERRA PROMESSA - Slomp non si perde d’animo, raggiunge le sponde della lontana Melbourne a caccia di nuove esperienze e nuovi stimoli. Resta in perenne movimento, quasi avesse bisogno di scomporsi per ritrovarsi, assimilare nuovi mondi per comprendere il proprio. Gli stimoli non mancheranno in Australia dove il tecnico trentino trascorrerà tre anni intensi, densi, dal 2009 al 2012, direttore di ben tre scuole tennis, frequentate da oltre trecento ragazzini. Collabora anche con la Federazione australiana, “Cercavano un tecnico europeo che li aiutasse a svolgere la preparazione sulla terra battuta - rivela - Tra i ragazzi che seguivo c’erano anche Kyrgios, Kokkinakis e la Barty , che ho poi accompagnato ai Campionati mondiali. Kyrgios? Era molto alto e dinoccolato, aveva un servizio esplosivo, ma faceva una gran fatica a spostarsi. Allora non era così rissoso ed esuberante, però si capiva che aveva enormi potenzialità, anche se sulla terra non vinceva una partita.” In Australia riabbraccia Reader che ha appena rigenerato il giovane ucraino Alexandr Dolgopolov, portandolo ai margini della top ten, ma alla fine è prevalere su tutto e tutti è la voglia di tornare. Nel gennaio del 2012 s’imbarca sull’aereo che lo riporta in Italia, la Federazione è disposta a fargli ponti d’oro, ma lui preferisce raccogliere la proposta dell’amico Graziano Risi, che lo coinvolge nella sua società e nell’organizzazione di soggiorni estivi per ragazzi, in collaborazione con Juventus Camp. Il Comitato Trentino gli affida un ruolo strategico: riallacciare i fili di un progetto legato all’attività giovanile che lui stesso aveva avviato nei primi anni Duemila insieme al compianto Vincenzo Berloffa.

RINASCIMENTO - Da allora tante cose sono cambiate, è arrivata la pandemia che ha inferto ferite profonde allo sport, non al tennis che paradossalmente è uscito dal lockdown ancora più forte e popolare. “Siamo stati i primi a ripartire e questo ha rappresentato un bel vantaggio. I genitori hanno scoperto che si tratta di uno sport sicuro per i propri figli e per tanti adulti si è rivelato una buona alternativa alla palestra. Dal prossimo settembre le Scuole tennis potranno contare su numeri molto interessanti, è un’occasione da sfruttare al meglio.” Rispetto al passato abbiamo ragazzini che riescono a farsi valere maggiormente nei tornei nazionali: "E’ vero, ci sono diversi elementi che hanno raggiunto un ottimo livello di gioco e che hanno indubbiamente buone potenzialità. Ma non illudiamoci, il percorso di crescita è sempre molto lungo.” Qualche anno fa aveva lanciato l’allarme, i ragazzini giocano troppo: “Partivo da una considerazione: a livello internazionale un tennista raggiunge la massima prestazione non prima dei 25 o 27 anni. Lo conferma l’età media dei primi cento al mondo che si è sensibilmente alzata rispetto al passato. Un ragazzino di dieci, dodici anni oggi si allena dalle cinque alle sette volte in settimana, tra qualche anno per incrementare le proprie prestazioni quanto dovrà giocare? Sono convinto che ci voglia molta attenzione a questo proposito: giocare tanto ci può stare ma questo non vuol dire vivere già una realtà da professionisti. E’ importante che chi sta attorno al ragazzo, maestri, famiglia e dirigenti, sappia mantenere un certo equilibrio.”

TALENTI - Angelica Moratelli prima, Deborah Chiesa poi, Stefano D’Agostino adesso. Molti dei nostri migliori talenti scelgono di lasciare il Trentino. Una opzione che paga di più? “Non necessariamente. Si tratta di situazioni particolari. Anche qui da noi ci sono delle strutture adeguate per potersi allenare a un certo livello. Ma se sei giovane e hai ambizioni devi lasciare il circolo. L’unica strada per arrivare a un certo livello passa da un rapporto uno a uno con il tecnico.” Stefano D’Agostino è entrato nell’orbita di Massimo Sartori. “E’ un ragazzo che ha notevoli margini di crescita. L’ho visto giocare agli Italiani e mi ha fatto un’ottima impressione. Ha fatto una scelta importante che può pagare.” La Chiesa invece fatica a ripartire: “Io sono convinto che possa ritornare in alto, non si arriva a un certo livello per caso. Deve solo riprendersi dal punto di vista fisico.”

Autore
Luca Avancini

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