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Parigi 2007: Santangelo e uno Slam Mara...viglioso

Sono passati tredici anni da quel meraviglioso pomeriggio di inizio estate. 8 giugno 2007, sul centrale del Roland Garros, sotto il cielo di Parigi, Mara Santangelo e l’australiana Alicia Molik conquistano il titolo di doppio. E’ il primo successo di una tennista azzurra in un torneo del Grande Slam. Prima ancora del graffio sublime lasciato dalla leonessa Francesca Schiavone su questa stessa terra rossa nel 2010, prima del trionfo di Flavia Pennetta agli Us Open del 2015. Il ricordo di “quella giornata memorabile”, come la definisce la Santangelo, affiora più vivo che mai in questo momento, serve a contrastare l’effetto straniante di quei campi malinconicamente vuoti. “Nei giorni scorsi ho voluto postare delle immagini del campo centrale” rivela Mara, “Questa sarebbe stata la settimana del Roland Garros, non si poteva non celebrare un torneo che ha rappresentato tanto per il tennis italiano, e che ci ha sempre restituito delle emozioni straordinarie.” Impossibile dimenticare quelle provate insieme alla Molik. “Ricordo che fino all’ultimo non sapevamo se avremmo potuto scendere in campo, i match precedenti si erano allungati più del previsto e sul centrale non ci sono le luci. Fossimo andate al terzo di sicuro la partita sarebbe stata interrotta e rinviata al giorno dopo.”

LA FINALE - Di fronte ci sono la slovena Katarina Srebotnik e la giapponese Ai Sugiyama, due tenniste toste, caparbie. La Sugiyama è una giocatrice di grande esperienza, la numero uno di specialità, ha vinto tutto o quasi, la slovena è un talento emergente. Insieme sono temibili. La Santangelo e la Molik però hanno trovato la condizione partita dopo partita e la semifinale vinta in tre set con le sudafricane Cara Black e Liezel Huber, seconde favorite del seeding, è stata una potente scarica di adrenalina. Ancora in circolo. L’australiana di Adelaide non ha la morbidezza dei gesti, la sinuosità dei movimenti dell’azzurra, ma ha muscoli, forza e anticipo e si muove svelta. Si integrano a meraviglia, e sanno sempre leggere bene i momenti topici della partita, trovare gli schemi giusti per far risaltare le loro grandi doti di attaccanti. Colgono l’attimo per chiudere la sfida proprio quando le prime ombre stanno planando dolcemente sui tetti di Parigi, dopo un tie-break per cuori forti, un secondo set teso, sempre sul filo. Il match point è una sintesi di coraggio e determinazione: Mara con i piedi ben piantati dentro il campo, la risposta aggressiva di rovescio sul servizio della Sugiyama, la volée bassa profonda e precisa per costringere la giapponese a un disperato salvataggio in lob sul quale si avventa decisa con lo smash la Molik. “Ogni tanto me lo riguardo quel punto - sorride la Santangelo - io e Alicia che ci abbracciamo felici, una gioia incredibile. Sensazioni ancora più belle perché condivise con una amica e una compagna straordinaria.”

L’INFANZIA TRENTINA’ - Trentanove anni da compiere a fine giugno, Mara Santangelo è nata a Latina, ma si è sempre considerata trentina a a tutti gli effetti. D’altra parte la sua infanzia è scivolata via lieve tra i boschi di della val di Fiemme, nell’albergo di famiglia a Cavalese. Scuola e tennis, i primi colpi sui campi immersi nel verde del parco alla Pieve, sotto lo sguardo un po’ burbero, ma affettuoso del suo primo maestro, Alfredo Sartori, scomparso un anno fa a 84 anni, padre di Massimo, il coach di Andreas Seppi. Quel rettangolo rosso ha incarnato la sua fatalità emotiva di tennista, la vita non le ha risparmiato momenti di sconforto infidi e tangibili, dolorose sorprese, ma le ha regalato dolcezze e gioie che oggi può portare dentro con la serenità e la naturalezza che hanno sempre contraddistinto ogni suo gesto. Quella serenità che le permette di osservare le cose con la profondità dei suoi occhi limpidi e azzurri come il mare.

SUCCESSI - Il Roland Garros è stata una delle pagine più felici nel breve romanzo della sua vita di tennista, ma non l’unica. Nell’album dei ricordi c’è anche la Fed Cup, il primo titolo iridato conquistato nel 2006 a Charleroi in Belgio, insieme a Francesca Schiavone, Flavia Pennetta, Roberta Vinci, il capitano Corrado Barazzutti. L’esordio da titolare, in campo al posto della Pennetta infortunata al polso, i brividi, la vittoria in rimonta con la numero 2 del Belgio Kristen Flipkens. Prima dell’apoteosi, il 3-2 firmato in doppio dalla Schiavone e dalla Vinci. “Un altro momento bellissimo che porterò per sempre nel mio cuore, non posso dire se sia stato il più intenso in assoluto, ma certo vestire la maglia azzurra ti restituisce sensazioni completamente diverse da tutte le altre. Per un’atleta è il massimo orgoglio, un sogno che si realizza, coltivato sin da bambino.” In quel magico 2006 Mara raggiunse il numero 27 delle classifiche mondiali di singolo, un anno più tardi sarebbero arrivati altri risultati prestigiosi, la vittoria agli Internazionali di Italia in coppia con la francese Nathalie Dechy, la semifinale a Wimbledon. Un best ranking sontuoso al numero cinque di specialità che le avrebbe spalancato le porte del Masters di doppio con la solita Molik. Invito declinato per via del grave infortunio al piede sinistro. Un nemico annidato in un angolo buio che non le ha dato tregua e che alla fine l’ha costretta a cambiare vita, a trovare nuova forza fuori dal campo, nuovi stimoli nella fede.

SCRITTURA - Il ritiro, il dolore per la perdita dell’amata madre, Medugorje. Esperienze forti la spingeranno a scrivere un libro autobiografico intitolato “Te lo prometto” nel quale racconterà la sua carriera sportiva e la sua vita spirituale. Un modo per trovare conforto, un nuovo appoggio. “Ho coltivato la passione per la scrittura sin da quando giocavo - racconta - portando sempre con me una penna e della carta. Ancora adesso tengo un diario in cui annoto i miei pensieri. Fissare le cose mi aiuta a dare forma alle idee, succedeva anche quando giocavo, così avevo più chiaro in testa ciò che avrei voluto fare.” Il libro cominciava da Wimbledon, dall’erba magica del campo centrale, una promessa fatta alla mamma. Con la voglia di non deluderla e la convinzione “che su quel campo prima o poi ci sarei arrivata”. Sul Central Court lascerà anche qualche piccolo rimpianto, insieme all’immagine dell’aliena Serena Williams che ondeggia nervosa in ritardo di un set. “Ero avanti anche nel secondo, poi il piede ha iniziato a farmi male e non ho più potuto lottare come avrei voluto - racconta - Devo dire che mi sarebbe piaciuto tanto giocarmi quella partita alla pari, senza dover pensare a questo maledetto dolore che ha ostacolato tutta la mia carriera. E’ l’unica partita che rammento con dispiacere, ma io mi considero una persona positiva, non mi piace vedere le cose da una prospettiva di rammarico.” Nel 2017 ha scritto un altro libro, “Match Point”, un invito a non perdersi mai d'animo, a non temere le nuove sfide, e a coltivare la fiducia in se stessi per dare il meglio. Rafforzato dalle testimonianze di Maurizia Cacciatori, Igor Cassina, Sara Errani, Margherita Granbassi, Nicola Legrottaglie, Giacomo "Jack" Sintini, Bebe Vio.

IMPEGNI - “Una volta smesso non ho voluto fare la cosa che mi pareva più scontata, e cioè rimanere sul campo da tennis. Le proposte non mancavano, ma io cercavo nuovi stimoli.” Mara non ha mai smesso di vivere intensamente, ha trovato il tempo di conseguire un Master in Sport & Management alla Bocconi e di laurearsi in Scienze dell’Educazione. Oggi, tra le altre cose, collabora con l’azienda Robert Bosch, fa parte del consiglio della Federazione Italiana Tennis, dirigente e accompagnatrice della nazionale italiana di Fed Cup, “Un ruolo questo, che mi piace moltissimo”; ed è pure membro del consiglio nazionale del CONI, come rappresentante degli atleti.” Si occupa di formazione aziendale, di strategie motivazionali, temi che le stanno particolarmente a cuore. L’agenda è sempre stata fittissima di impegni, il virus, la pandemia, le hanno imposto ritmi diversi. “Ho vissuto questo periodo con tanta positività Non credevo fosse possibile, perché ho dovuto restare a Roma, da sola. Ma ho fatto parecchie cose, cucinato, riordinato gli armadi, e messo ordine anche dentro di me. Ho alimentato la mia parte interiore. Siamo sempre così presi dai nostri problemi che non abbiamo il tempo di apprezzare le piccole cose, quelle che spesso diamo per scontate e che scontate invece non lo sono, la libertà di muoverci, di viaggiare, di abbracciare i nostri cari. Ho tratto grandi benefici da questo periodo, mi ha caricato tantissimo, adesso mi sento pronta e decisa ad affrontare nuove sfide. Mi piacerebbe realizzare un film, è un progetto a cui sto lavorando, un altro piccolo sogno che potrebbe realizzarsi.”

DEBBY - Un pensiero alla fine corre anche a Deborah Chiesa, la tennista trentina chiamata a raccogliere la sua pesante eredità. Mara e Deborah si erano conosciute un paio di anni fa in Fed Cup, un incontro fortunato perché Debby ne trasse ispirazione per battere la basca Laura Arruabarrena, n. 81 al mondo, e dare all’Italia il punto della vittoria a Chieti contro la Spagna. "Giocò una partita memorabile, per tenacia e volontà, e mi diede l’impressione di avere ampi margini di miglioramento. So bene che non è semplice seguire la via professionistica, gestire la pressione. Ma mi è parsa molto inquadrata dal punto di vista caratteriale. Sono sicura che troverà la forza per tornare in alto.”

Autore
Luca Avancini

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