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Ghighi Sassudelli: ultimo signore del tennis in bianco

E’ stato un pioniere e insieme un innovatore. L’ultimo esteta del tennis in bianco. Gianluigi Sassudelli, per tutti semplicemente Ghighi, se ne è andato in punta di piedi dodici mesi fa. Aveva 93 anni, molti dei quali probabilmente li aveva trascorsi su un rettangolo in terra rossa o negli immediati dintorni. Giocatore autodidatta, ma aggraziato e completo, dirigente accorto e lungimirante, tra i fondatori nel dopoguerra della società Vigor, polisportiva di Nave S. Rocco, Sassudelli ha attraversato la storia regionale di questo sport interpretandone tanti ruoli e tutti da protagonista, con una competenza rara, doti umane non comuni, una straordinaria passione. Gianluigi era il secondo di tre fratelli, tutti legati al tennis. Il primo, Antonio detto “Noti”, era stato uno dei promotori del Circolo di Mezzolombardo, nato sul rettangolo polveroso di piazza Erbe, dove si ritrovavano già alla fine degli anni Quaranta alcuni discreti giocatori, come Emilio Viola o Giuseppe Borga, futuro padre del sindaco Rodolfo. Il Noti ha avuto una parabola agonistica breve, ma è stato il più forte e completo della famiglia, quando era in campo si rivelava un avversario davvero temibile per i colpi energici, la grande prestanza fisica.

IL SIOR PAOLO - Il terzo dei Sassudelli, Paolo, scomparso tre anni fa, era il più giovane e si muoveva sul campo con l’aria indolente e assente di chi pareva capitato lì quasi per caso. Ma ha incarnato lo spirito di un tennis quasi ieratico e mollemente elegante che doveva trovare la sua cornice ideale e la sua sublime consacrazione sul rettangolo di Nave S. Rocco, nel maso dei Sassudelli, per anni ritrovo scanzonato e spensierato, mai davvero irriverente, di tanti appassionati della racchetta. Lì, dopo una sfida, anche intensa e accalorata, si finiva sempre con un’amabile e conviviale chiacchierata all’ombra dell’ampia magnolia, mangiando una fetta di salame e bevendo un buon bicchiere di rosso delle fornite cantine di casa. Incurante delle bacchettate che gli rivolgeva qualche severo cronista, “Strano che non abbia appreso molto dal bel gioco dei fratelli – si legge in una cronaca degli anni Cinquanta – e certi suoi colpi “a scopa” sono assolutamente da eliminare”, Paolo Sassudelli, il “Sior Paolo”, come lo chiamavano da quelle parti, è stato l’impeccabile anfitrione del campo della Nave, sempre sorridente e allegro, concedeva spesso il campo ai ragazzi del posto per pochi spiccioli, il più delle volte gratis. A fine primavera passava la maggior parte del tempo al telefono, per organizzare il famoso torneo del Mas, al quale venivano ammessi rigorosamente solo amatori senza troppe pretese.

IL CAMPO DELLA NAVE - Quello alla Nave è stato uno dei primi campi mai costruiti in Trentino, un fazzoletto in terra rossa ritagliato tra gli alberi da frutto nel lontano 1938. Della realizzazione si era incaricato in prima persona il padre Francesco, sollecitato dalla moglie Augusta che era una tennista convinta. “Papà non giocava, ma era sicuro che se ci fossimo dedicati al tennis ci saremmo tenuti lontano dai guai”, ricorderà più avanti Gianluigi. Durante gli ultimi anni del Liceo Classico a Trento si lascia trascinare volentieri insieme al fratello Noti in piazza Venezia da Marcello Taddei, di cui era stato compagno di classe al Liceo “Prati”. Siamo alla fine degli anni Quaranta, e al timone del circolo c’è l’onorevole Helfer. I Sassudelli non sono degli assidui frequentatori, vi capitavano volentieri, la compagnia è giovane e ristretta, spesso allietata dalla presenza di diverse ragazze. Il tennis era per Ghighi una manifestazione di eleganza, uno sport da praticare con la finezza e lo stile di chi non vuole ostentare sforzi violenti, ma insegue la bellezza effimera di un gesto. Non aveva colpi vincenti, ma riusciva a battere giocatori più celebrati di lui, il passante preciso e regolare, pallonetti mortiferi, e un palleggio mai azzardato che finiva spesso per imbrigliare rivali meno avveduti. La sua specialità però era il doppio, lui e il fratello formavano una coppia davvero tosta, anche perché i due si completavano a vicenda. Forza e precisione, Noti aveva un servizio potente che seguiva rapidamente a rete, i colpi sopra la spalla erano il suo pane prediletto, e quando qualcuno incautamente gli alzava un lob un po’ corto, era solito guardare dritto negli occhi in atto di sfida il suo antagonista, prima di colpire con impressionante violenza la palla. Talvolta precedendo lo smash da un segno della croce, profetico di terribili sventure per il malcapitato di là della rete.

IL DOPPIO MISTO - Non erano in molti capaci di tenere testa ai due Sassudelli che si aggiudicheranno anche la prima edizione della Coppa Città di Trento, datata 1952. Se il doppio è stata la specialità prediletta, il misto ne è stata la forma più amata, Cicci Neubacher la compagna ideale. Aveva un tennis un po’ timido, ma si integrava a meraviglia perché era rapida nei movimenti e possedeva una solida tecnica di base. Cicci De Neubacher, il cui vero nome era Emma Pia, era una ragazza silenziosa, taciturna, spesso al Circolo se ne stava appartata, quasi pudicamente distante. Non aveva legato molto con gli altri frequentatori, questione di carattere, non era una bellezza appariscente, ma aveva un suo fascino, un fisico sottile e un viso dai colori nordici, chiaro e sfuggente. In campo si trasformava in una giocatrice tenace e determinata, difficile da superare. Seguita come un’ombra dalla madre, rimasta vedova in giovane età e proprietaria della gioielleria Menestrina in via S. Pietro, sempre vestita di nero e sempre in compagnia del suo barboncino. “Con me si trovava bene perché non mi arrabbiavo mai - confiderà Ghighi - la sostenevo incitandola spesso, “forza Cicci, dai Cicci”. E lei mi sorrideva dolcemente.” Era proprio nel misto che si alzava impetuosa la rivalità tra i due fratelli, i frequenti battibecchi durante i tornei, in particolare quelli sociali allora molto in voga, coinvolgevano anche il pubblico che accorreva numeroso sulle tribune del Circolo per assistere alle loro partite. E l’arbitro di turno aveva il suo bel daffare per contenere l’animosità dei contendenti, fortuna che poi una bicchierata era sufficiente per ritemprare gli animi e far tornare la quiete.

IL DIRIGENTE - Gli impegni del suo lavoro di ingegnere non lo terranno mai lontano dai campi, e Ghighi diventerà presto uno dei dirigenti di spicco del tennis trentino, soprattutto a partire dagli anni Sessanta quando si legherà a Giorgio Torta, con il quale condividerà anche l’impegno in Federazione. Sempre disponibile, sempre pronto. Sarà lui ad accompagnare le squadre giovanili che muovevano i primi passi fuori dai confini regionali nella Coppa Bossi, campionato nazionale juniores. Il Ctt schierava ragazzi di talento come Agostino Spagnolli o Sergio Taddei, il piccolo e irriducibile Franco Merz, l’elegante e fragile Claudio Pegoretti, ma anche lottatori grintosi come Sergio Pretto, Alberto Franzinelli, Paolo Apollonio. La squadra trentina si farà valere e sfiorerà per due anni di fila l’accesso alla finale a quattro. Non ci sono pulmini o comodi mezzi di trasporto, le trasferte in quei ruggenti anni Sessanta sono spesso autentiche avventure, le più fortunate in treno. “Per andare a giocare a Trieste eravamo partiti alle cinque del mattino - annoterà divertito Sergio Taddei - Un viaggio senza fine sulla Fiat che guidava Gianluigi Sassudelli. Il tempo di scendere dalla macchina ed eravamo già in campo, un po’ storditi. Ma riuscimmo a vincere lo stesso.” Negli anni Sessanta e Settanta Ghighi dirigerà con mano sicura, spesso insieme a Torta, tante edizioni del Città di Trento, giudice arbitro del torneo più importante che allora si giocava in provincia. All’inizio degli anni Settanta viene eletto alla presidenza del comitato regionale della Fit. E’ a lui che si deve l’istituzione della prima commissione di propaganda incaricata di rafforzare con le sue iniziative l’attività giovanile. E da una sua idea nascerà un mini circuito invernale di quattro tornei riservati agli juniores che si svolgeva nei mesi di gennaio e febbraio sotto i palloni di Trento, Rovereto, Arco e Riva. Rimarrà alla guida del Comitato Regionale anche quando a partire dal 1978 si costituiranno due Comitati provinciali separati, quello trentino presieduto da Marcello Taddei, con Giampaolo Ferrari suo vice. Rimarrà una delle voci più ascoltate e rispettate all’interno del massimo organismo provinciale, al fianco di Torta subentrato al dimissionario Taddei nella primavera del 1983. Poi all’inizio degli anni Novanta tornerà ad occuparsi a tempo pieno della sua campagna, delle cantine e naturalmente del campo di Nave S.Rocco, sempre tirato a lucido per l’inizio della bella stagione. Padrone di casa galante e sinuoso, insieme al fratello Paolo, di un tennis che lì, almeno per un giorno, poteva ritrovare la sua antica purezza.

Autore
Luca Avancini

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