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Andrea Casari: ritorno al futuro, tra fughe e promesse mancate

Il ritorno del figlio prodigo. Ha impiegato parecchio a ritrovare la strada di casa, ma alla fine, dopo un lungo interminabile peregrinare per mezzo mondo, Andrea Casari ha ripreso a fare quello che più gli piace, insegnare tennis, sulla terra rossa di piazza Venezia, tra le rassicuranti mura del Circolo Tennis Trento. Lì dove, quasi cinquant’anni fa, ragazzino sfrontato e impertinente, aveva cominciato a tirare i primi colpi con la sua Maxima di legno. Seguito con un occhio di riguardo dal maestro Franco De Biasi, mestrino, ex seconda categoria. Il primo vero maestro che si fosse mai visto a Trento, un buon amico di Giorgio Torta, titolare della Casa del Caffè in via San Pietro e allora dirigente del club cittadino. Fu proprio Torta che convinse De Biasi a venire a Trento a metà degli anni Settanta quando, dopo la copertura del primo campo, si crearono finalmente le premesse per un’attività continuativa e non solo più stagionale.

IL PRIMO MAESTRO - Non aveva quel che si dice un carattere accomodante Di Biasi, e come maestro era sempre molto diretto e poco diplomatico. Ma aveva classe. Era un ganimede che faceva sovente il filo alle signore, un corteggiatore elegante che poi non combinava nulla, e sul campo esibiva la stessa raffinatezza di modi, i pantaloni lunghi, l’aria distratta. Casari era l’allievo prediletto, De Biasi vi si specchiava, eterno insoddisfatto della vita. Gli aveva trasmesso il suo meraviglioso rovescio a una mano. “Per eseguire bene questo colpo è indispensabile saper fare due pieghe”, ammoniva il maestro serio al proposito. Nessuno però aveva mai capito esattamente di quali pieghe si trattasse. De Biasi gli aveva lasciato anche qualcosa di vagamente incompiuto, i colpi uscivano dalla racchetta con la medesima aerea leggerezza, ma Andrea aveva lo stesso carattere, fragile, insofferente. A 16 anni e il titolo regionale di categoria in mano, si ritrova già aggregato alla squadra impegnata nella neonata serie C, il torneo che ha appena sostituito la Coppa Facchinetti. La foto mostra un ragazzetto imbronciato accanto a mostri sacri del panorama locale come Giuliano Maistri e Agostino Spagnoli. Gente che per anni ha dettato legge in provincia. La gloriosa Facchinetti è il torneo che ha regalato le soddisfazioni più belle al Ct Trento, finalista nell’edizione del 1972, ma è una competizione che odora di passato, in un momento in cui il tennis sta per varcare definitivamente la soglia della modernità. Un fiume in piena, che si appresta a travolgere tutti gli argini. Oltre a Trento, ci sono solo due formazioni regionali al via, Merano e Bolzano, quest’ultima come previsto si prenderà tutta la scena con il suo quartetto d’assi: Basso, Caumo, Korthals e Giannelli.

PROMESSE - L’estate del 1978 è carica di promesse, al Città di Trento Casari agguanta la finale del torneo riservato ai terza categoria, sconfitto solo dopo due tie-break dal veronese Bossinello; al fianco del totem Giuliano Maistri raggiunge le semifinali di doppio: i due si arrendono solo al padovano Enrico Ceccon che salirà al numero 669 delle classifiche mondiali, e al gallaratese Alberto Pavan. Il futuro nelle mani, il circolo ha coagulato la meglio gioventù, ci sono anche Fabio Eccher e il perginese Luca Volpe, ragazzi baciati da meno talento, ma con più costanza e volontà di emergere. Tutto sta cambiando, il decennio che si apre ha un’anima patinata destinata a cancellare gli anni di piombo, gli acri odori delle lotte di fabbrica, gli anni dell’austerity. Pure le classifiche sono nuove, i migliori si dividono adesso in B1, B2, C3, C4 e C5. Il Circolo Tennis Trento ha voglia di voltare pagina, di rilanciarsi in grande stile dopo qualche anno di grigio anonimato. E così nel 1981 nasce l’idea della serie B, parte da Marco Casari, papà di Andrea, dirigente appassionato e competente, e dal giornalista Francesco Trettel, da sempre affezionato frequentatore del circolo. Per la prima volta una squadra trentina riesce ad affacciarsi convinta sulla scena nazionale.

LA SERIE B - Il presidente Marcello Taddei ingaggia due tennisti di spessore, Fabrizio David e Quirino Cipolla. Il primo è figlio di Mario David, direttore tecnico del Calcio Trento, è stato numero 19 delle classifiche nazionali dopo aver vinto diversi tornei di seconda categoria e un titolo italiano di doppio da juniores, è un incontrista dal tennis piatto, il diritto con la presa Continental, ha un carattere volubile, ma è un gran compagnone e nelle giornate buone il suo tennis è affilato e preciso come un bisturi. Cipolla è un introverso, ha un gioco imprevedibile, atipico, da autodidatta, colpi dimenticati, come il chop stretto molto anticipato, e un non-ritmo che manda fuori giri e spesso fuori dai gangheri i suoi avversari. “Era un tipo un po’ matto, in senso buono - dirà sorridendo Luca Volpe - Ricordo che un anno a Treviso volle a tutti i costi andare in una pasticceria per fare colazione, si mangiò una meringata intera prima di giocare, ma poi andò in campo e vinse”. Al loro fianco c’è anche il maestro Carlo Vannini, un bolognese solare e brillante che ha preso il posto di De Biasi alla Scuola Tennis. La squadra sfiora il passaggio del turno, finendo terza nel girone che comprende lo Scaligero Verona di Vantini e Zampieri, Lido Venezia, Treviso e Triestino. “Rammento una mia vittoria con Zampieri (che si arrampicherà al numero 151 delle classifiche mondiali n.d.r) - racconta Andrea Casari - La serie B è stata una bellissima esperienza, c’era sempre tanto pubblico a vedere le partite e per noi ragazzi, che avevamo diciotto e diciannove anni, ha rappresentato una grande opportunità di crescita.” Il Ctt rilancia la sfida l’anno dopo con l’innesto di Luis Varrone, argentino dal fascino magnetico e dal fisico esuberante. Incantava per quel suo gioco che sa essere al tempo stesso delicato e dirompente, per il suo incedere elegante e leggero. Lo hanno ribattezzato subito Guillermo Vilas, non c’è voluta molta fantasia, vuoi per le assonanze tecniche, vuoi per una certa somiglianza, ha un nonno italiano, e arriva da Resistencia, un centro a mille chilometri da Buenos Aires. Sono i primi anni degli arrotini del tennis, sudamericani e spagnoli, che conquisteranno il mondo. Varrone è indolente e incostante, miete vittime soprattutto tra il gentil sesso, ma spinge comunque Trento alla fase finale, anche se le velleità dei nostri naufragheranno sul primo scoglio del tabellone nazionale, l’agguerrito Tc Monviso. Il Ct Trento ci riprova anche nel 1983, da Verona sale Alessandro Nunziante, ha un negozio di poster e quadri non lontano dall’Arena, è un esperto d’arte, ma anche un regolarista ostinato e implacabile. Duro da scardinare, si spingerà al numero 320 Atp. La squadra penalizzata da una falsa partenza, non farà però molta strada. In piazza Venezia intanto è sbarcato il maestro Patrizio Zandri, 36 anni, un romano “sui generis” discreto, abituato a parlare poco, ma destinato a lasciare un’impronta forte. Sa bene che nel tennis in fondo di parole non ne servono poi tantissime, ne bastano di semplici, dette al momento giusto. E le sue arrivano sempre dritte al bersaglio. Per Casari la B può essere il trampolino di lancio e invece è una cannonata a salve, si limita a raccogliere allori lungo i sentieri di casa, a palleggiare con gli allievi della scuola Sat.
CORAGGIO - Titoli regionali e provinciali, una manciata di stagioni felici. Più vittorie mancate che successi, come quella volta ai campionati nazionali under 18, quando scherza per un set e mezzo con il B1 Valerio, prima di cedere 7-5 al terzo: “Forse è mancato pure il coraggio di provarci, ma allora non c’erano le possibilità che i ragazzi hanno oggi di allenarsi e certe decisioni richiedevano volontà e convinzione. Che io non avevo - spiega lui - Ho preferito fare scelte diverse che non sempre hanno pagato.” Scelte che non hanno lasciato nemmeno troppi rimpianti: “Al massimo un po’ di curiosità, non sarebbe stato male scoprire dove sarei potuto arrivare se mi fossi allenato seriamente.” C’è poi da fare i conti con gambe d’argilla, la passione per il pallone che distrae e frena. Ci sono attimi in cui non sai cosa scegliere, e una piccola esitazione può portare a una perdita intima e profonda. Il lasso di tempo è così breve per un gesto deliberato, travalica il pensiero consapevole. Le porte che si aprono poi non sono quelle giuste. La gente vedeva un tennista con il pieno controllo di sé e quasi indifferente a tutto, ma dentro montava un vulcano pronto a eruttare lava d’ansia.

FUGHE - Gli anni Novanta sono gli ultimi fuochi, insegue un diploma da maestro, che lo porta a peregrinare con lo spirito inquieto ed irrequieto in giro per tutta la regione. Poi la fuga in Spagna, per trovare finalmente un po’ di pace. Fa base al Tennis Club Race di Madrid. “La Spagna è stata una tappa fondamentale dal punto di vista professionale - racconta - lì si lavorava duro, tanto e con la massima serietà. Per alcuni mesi ho avuto la possibilità di collaborare al fianco di Jorge Ruiz Sanchez, che ha allenato diversi giocatori di altissimo livello, in quel periodo pure un certo Feliciano Lopez. Da lui ho imparato parecchie cose. Ho seguito nei tornei under Julio Cesar Clotet, che allora era uno dei ragazzini spagnoli più promettenti, altra esperienza importantissima. In Spagna non esiste rivalità tra maestri, c’è molta più condivisione e intesa sulle metodologie di insegnamento e si può lavorare con maggiore tranquillità. Qui da noi ognuno tende ad andare per la sua strada, c’è meno spirito di collaborazione tra i maestri.” Non dura e nel 2011 segue la moglie in Argentina. Trova occupazione al Vilas Club di Buenos Aires, responsabile della scuola Sat. Nonostante i buoni propositi, la promessa di una nuova vita più serena si traduce nell’ennesima illusione. Il Sud America non è la Spagna. “C’era poca organizzazione, molta più improvvisazione, ho cercato di mettere in pratica quello che avevo imparato a Madrid, ma le condizioni erano diverse.” I demoni non lo abbandonano e lo spingono lontano anche dagli affetti. Riportandolo al di qua dell’oceano.
IL RITORNO - Ritrovare un equilibrio non è semplice, ma Andrea ha ancora bisogno del tennis, perché in fondo è il solo mezzo che ha per riuscire a esprimere se stesso. “Posso dire di aver fatto la mia strada. Col senno di poi certi errori non li rifarei più, come l’aver perso tempo. Ma la vita è così, solo quando si è maturi si riescono a capire per davvero gli sbagli del passato. Adesso però non voglio più guardarmi indietro, si vive e si impara. E io l’ho fatto. I problemi bisogna provare a capirli e a oltrepassarli, cercando poi di non pensarci.” Il presidente del Circolo Tennis Trento Stefano Sembenotti gli concede una nuova opportunità, l’ultima. Anche il club nel frattempo ha cambiato pelle, c’è una nuova guida tecnica, il maestro Gianluca Gatto. Ha bisogno di collaboratori per la Scuola. “Sono felice di lavorare con lui e con Raffaele Cimadon. Sono maestri molto bravi e preparati che hanno portato tanto entusiasmo al circolo. Io sto solo cercando di fare del mio meglio, tornare in condizione e lavorare con il massimo impegno insieme ai miei nuovi compagni.” L’emergenza Coronavirus ha fermato tutto sul più bello, nessuno sa quando si potrà tornare alla normalità. Quando succederà, di certo niente sarà più come prima. Ci aspetta l’alba di un nuovo inizio, forse proprio quello che cercava da una vita Andrea Casari.

Autore
Luca Avancini

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